PORTA CHE SI CHIUDE, PORTA CHE SI APRE

Incontrava un “no”, un ostacolo, un muro, un blocco, e vedeva una porta chiusa.
Soffriva, soccombeva, perdeva forza, aveva paura, faceva resistenza, si sentiva debole.
Si contorceva per trovare soluzioni, le provava tutte, cercava di cambiare e faceva tentativi per riaprire quella porta, che rimaneva chiusa.
Dolore, perdita, abbandono, senso di impotenza, sforzo, fatica.
Sfiducia e speranza.
Ad un certo punto qualcosa è successo.
Ora, quel “no” è un “sì”, quell’ostacolo è una via libera, quel muro una costruzione creativa, quella porta chiusa una porta che si apre.
Cosa è successo? Come è potuto accadere? Come ha fatto?
Ad un certo punto , come un fulmine a ciel sereno, una frase letta o sentita non sa dove, ha colpito nel segno:
“Stare con l’incertezza, stare con l’ignoto”.
E davanti alla sua finestra è passato il Matto.

L’incertezza. L’ignoto.
Il salto fra i mondi che fa il Matto, con il suo saccottino pieno delle sue conoscenze, certezze, convinzioni, dietro alle spalle.
Ciò che lo spinge è la forza, la capacità di osare; ciò che lo sostiene è la fede, una fede viscerale e irrazionale, un sapere interiore.. la fiducia nel cammino.
Stare con l’incertezza, con l’ignoto, gli permette di essere vivo, di scoprire cosa la strada ha in serbo per lui.
Di essere innocente, come un bambino, aperto, pronto ad accogliere.

Il Matto si presenta sul mio percorso ogni volta che sono fermo, stagnante, anche senza accorgermene. Ogni volta che mi è richiesto di fare un salto nuovo nella meraviglia della vita, nelle nuove opportunità e punti di vista, nella ricchezza e nell’abbondanza delle possibilità, in nuove scelte, decisioni, sforzi ed impegni, per le quali ci vogliono occhi nuovi, disponibili, puliti dai pregiudizi e dalle resistenze, liberi.

Un cammino che presenta degli agguati: ogni volta che la terra “sicura” sulla quale cammino mi ricorda che non è proprio sicura come la pensavo e speravo; ogni volta che mi rendo credo di aver raggiunto un porto sicuro ed indiscutibile.. ecco che l’ignoto, ecco che l’incertezza bussa alla mia porta.

Death in the hood concept
Ecco gli agguati di quelle parti di me che s’aggrappano alla zona di comfort; emergono il controllo, la protezione, la paura, il giudizio, le giustificazioni e le scuse. In qualche modo provo a non cambiare, a fare resistenza. In fondo, ho paura di morire a ciò a cui sono abituato, alle immagini di me, ai miei ruoli; non sono pronto a metterli in discussione, in gioco; ad approfondirli, a cambiarli, a dis-identificarmi, ad evolvere.
Mi barrico in quella casa, palazzo o castello alzando dei muri ancora più alti.. ed è curioso: lo faccio proprio quando quei muri stanno crollando.

Ad un certo punto, sempre, la vita bussa a quella porta.
Bussa, chiamando a se stessa, alla libertà.
La vita, che non può essere arginata entro ai confini che vorrei darle, per non sentire quella stessa incertezza che in fondo fa parte dell’esistenza.
Non è piacevole sentirmi destabilizzato. Spesso preferisco quei limiti che stabilisco e nei quali mi sento un po’ stretto, al metterli in discussione. Mi richiede troppo impegno, troppo coraggio.. mi richiede di tramontare, di morire, di lasciarmi andare.

In realtà, posso vedere che tanta della mia energia la impegno a tenere in piedi quei muri: se li lascio crollare posso tirare un gran respiro di sollievo, posso finalmente abbandonarmi, e riposare, e vedere e sentire che cosa la vita mi offre, semplicemente perché la vita è sempre nuova, una continua rigenerazione, ed ha sempre in serbo un “nuovo nuovo”.

Riconoscere che l’incertezza ha in sé questo grande dono della rinascita, respirare ed accogliere la destabilizzazione, ampliare la capacità percettiva, la capacità di abbandonarmi, di trasformarmi, di cambiare, è morire al vecchio per entrare nel nuovo, e rigenerarmi.

icaro_volo

È l’ora in cui direte: ‘Che mi importa della mia felicità? Essa non è che povertà e sporcizia e un miserabile benessere. (..)’.
È l’ora in cui direte: ‘Che me ne importa della mia ragione? Ha essa forse, fame di sapere, come il leone di nutrimento? Essa è povertà e sporcizia e un miserabile benessere!’
È l’ora in cui direte: ‘Che me ne importa della mia virtú? Ancora non mi ha reso furibondo. Come sono stanco del mio Bene e del mio Male! Tutto ciò è povertà e sporcizia: e un miserabile benessere!’
È l’ora in cui direte: ‘Che me ne importa della mia giustizia? Non vedo ancora ch’io sia diventato fiamma ardente e carbone!’
È l’ora in cui direte: ‘Che me ne importa della mia compassione? Non è la pietà la croce cui viene inchiodato colui che amò gli uomini? Ma la mia pietà non è una crocifissione’.
Avete già parlato cosí? Gridato cosí? Ahimè, se mai vi avessi già udito gridare a quel modo! (…)

L’uomo è una corda annodata fra l’animale e il Superuomo, una corda tesa sopra un abisso.
Un pericoloso andar dall’altra parte, un pericoloso metà-cammino, un pericoloso guardarsi indietro, un pericoloso rabbrividire e star fermi.
Ciò che v’è di grande nell’uomo, è che egli è un ponte e non uno scopo: ciò che si può amare nell’uomo, è che egli è un passaggio e una caduta.

Io amo coloro che non sanno vivere anche se sono coloro che cadono perché essi sono coloro che attraversano.
Io amo i grandi spregiatori, perché sono i grandi adoratori, sono frecce di nostalgia verso l’altra riva.
Io amo coloro che non soltanto dietro le stelle cercano una ragione per sacrificarsi e andare a fondo; ma che si sacrificano per la terra, affinché essa divenga un giorno proprietà del Superuomo.
Io amo colui che vive per conoscere, e che vuole conoscere perché un giorno il Superuomo possa vivere. E cosí vuole la propria distruzione.
Io amo colui che lavora e inventa, in modo da costruire la casa per il Superuomo e preparare per lui la terra, l’animale e la pianta; perché cosí facendo vuole la propria distruzione.
Io amo colui che ama la sua virtú: perché la virtú è volontà di distruzione e freccia della nostalgia.
Io amo colui che non serba in sé una sola goccia del proprio spirito, al contrario, vuol essere interamente lo spirito della propria virtú: e cosí passerà come spirito sopra il ponte.
Io amo colui che della propria virtú fa la propria inclinazione e il stesso destino: cosí, per amore della sua virtú, vorrà ancora vivere, e al tempo stesso non piú vivere.
(..)
Io amo colui che spreca la propria anima, che non vuole ringraziamenti, e che non restituisce nulla: perché egli dona sempre e non vuole conservarsi.
Io amo colui che si vergogna quando il dado cade in modo favorevole a lui, e si chiede: ‘Sono forse un baro?’ giacché egli vuole andare a fondo.
Io amo colui che getta parole d’oro davanti alle sue azioni e mantiene sempre piú di ciò che ha promesso: perché egli vuole la propria distruzione.
Io amo colui che giustifica quelli che verranno e assolve quelli che sono tramontati: poiché egli vuole andare a fondo a causa degli uomini del presente.
(..)
Io amo colui la cui anima resta profonda anche nella ferita e può esser distrutto anche da un piccolo avvenimento, perché cosí andrà volentieri all’altro capo del ponte.
Io amo colui la cui anima è troppo ricca, sí che egli dimentica se stesso e tutte le cose che sono in lui: in tal guisa tutte le cose diverranno la sua distruzione.
Io amo colui che è libero di spirito e di cuore: perché la sua testa sarà soltanto il viscere del suo cuore; il suo cuore tuttavia lo spingerà verso la rovina.
Io amo tutti coloro che sono come gocce pesanti che cadono a una a una dalla nera nube che sovrasta l’uomo: essi annunciano che sta per venire il fulmine e periscono come annunciatori.
Vedete, io sono un annunciatore del fulmine, sono una di quelle gocce che cadono dalla nube: quel fulmine si chiama Superuomo”.
Così parlò Zarathustra, Nietzsche

Erica Aletheia

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

You may use these HTML tags and attributes:

<a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>